lunedì 13 febbraio 2012

WHITNEY HOUSTON: LA TRAPPOLA DEL TALENTO

Siamo stati tutti sorpresi dalla morte improvvisa della cantante Whitney Houston. Chi non conosceva la bellissima ragazza dalla voce potente e melodiosa che aveva letteralmente dominato la scena planetaria della musica pop solo una decina di anni fa? 
Eppure questa non è una morte improvvisa,anzi. Potremmo dire meglio, la morte in età così giovane è sempre dolorosa da accettare, ma nel caso della Houston è stato un'ennesima prova di quanto si sopravvaluti il Talento, soprattutto quando si accompagna ad una notorietà improvvisa alla quale non si è mai preparati abbastanza.
Il Talento
Innanzitutto cosa è il Talento? Il Talento è universalmente riconosciuto come una dote, una qualità, una potenzialità straordinaria che raggiunge livelli elevatissimi di performance e, qualora riconosciuta universalmente, viene definita come tale. E' la sua origine che è confusa. Sinteticamente, si sono succedute 2 teorie. Una lega il Talento ad una qualche componente genetica, l'altra ad un'esercizio ripetuto e prolungato, a livelli massimali, che permette di sviluppare delle potenzialità superiori in un qualunque campo.
L'Esperienza Ottimale
Personalmente propendo decisamente per la seconda ipotesi. In qualunque campo dell'espressione umana si è analizzato il cosiddetto Talento si è giunti ad un'elemento comune inequivocabile: ogni individuo talentuoso ha iniziato la pratica della sua attività in tenera età;spesso sotto la guida di un genitore e/o maestro che ha portato questa ripetizione a livelli massimali,oltre le 10 h giornaliere; la quasi totalità degli individui ha raggiunto il picco, o se vogliamo il successo, dopo almeno 10 anni di esercizio massimo.
Questo, legato al fatto che si parla spesso di individui che iniziano a praticare all'età di 3-5 anni spiega molto della precocità. Inoltre, per spiegazione completa, negli altri casi di individui nella media, questo picco si raggiunge invece almeno dopo 15 anni,forse 20 di esercizio continuo.
La Realtà
Perchè la Houston? Whitney Houston nasce da una madre famosa cantante gospel, adorata da Aretha Franklin per intenderci; sua zia è niente di meno che Dionne Warwick,una delle voci più potenti del panorama femminile afro tra i fine 60 e gli anni 80. Ha respirato musica dal primo vagito. E' stata letteralmente nutrita a latte e musica e sin dall'infanzia allenata e allenata a curare la sua dote straordinaria, la sua voce. Praticamente da predestinata la Houston è stata la prima cantante afroamericana ad avere un successo planetario, con concerti esauriti e dischi sold out in ogni nazione. Dall'altra parte è stata presentata come un angelo, una donna dolce, angelica, che desiderava arrivare vergine al matrimonio.
Il Sè Reale
Che cosa spiega allora questa morte? Possiamo solo intuire quanto difficile sia sostenere una vita da predestinata. Soprattutto, credo, quanto sia pesante sostenere una notorietà improvvisa, soffocante, alla quale non solo non si è mai preparati abbastanza, ma che spesso è un detonatore a lento innesco. E sì, perchè la Houston non è quell'angelo bianco che è stato venduto insieme alla sua splendida voce. Personalità piuttosto vivace, la miccia viene accesa dall'incontro con il suo futuro marito, cantante e produttore molto poco raccomandabile, Bobby Brown. Questi scopre il vero volto di Whitney, lascia emergere la reale essenza della Houston che troppo presto e per troppo tempo era stata schiacciata da un sè non reale. Il vero sè della Houston, dedito alla droga, ai vizi sessuali, all'alcool esplode e deflagra dapprima negli anni del matrimonio poi nella causa di affidamento dei figli successiva. Le cronache americane narrano di una Houston irrefrenabile ed insaziabile, ma soprattutto finalmente libera e decisa da assaporare la sua vita.
Il Bilancio
Cosa resta allora? Ci resta un bilancio strano. Perchè da una parte si è permesso ad un talento di emergere, di essere individuato, valorizzato, allenato al massimo della sua espressione. Dall'altro si è totalmente ignorato un essere umano nella sua individualità, quella originale e più autentica. Anzi si è sacrificato un'individuo sull'altare del talento, dimenticando che spesso molti di questi talentuosi hanno narrato di essere passati da esperienze di Flow, cioè esperienza di massimo piacere e gratificazione, a odio vero e puro verso la pratica quotidiana, tanto da rifiutare totalmente il ripetersi di certi livelli di allenamento. Si è persa una giovane donna nella sua Autodeterminazione, nel suo tendere ad un Autogoverno liberamente cercato e trovato, perdendo un bagaglio completo di potenzialità che sicuramente non avevano la stessa portata dell'innato talento musicale della Houston ma che sicuramente le avrebbero permesso di esprimersi e realizzarsi liberamente, da individuo liberamente tendente alla felicità.

giovedì 9 febbraio 2012

IL COACHING: L'ALLEANZA

Un elemento fondamentale e fondante nel Coaching Umanistico è l'Alleanza.
Cosa Significa
L'Alleanza innanzitutto è parte dei 3 componenti pregnanti la relazione di coaching, cioè Ascolto, Accoglienza, Alleanza.
L'Ascolto è un tratto della relazione di coaching che indica la predisposizione del coach a lasciare al centro della relazione il coachee o cliente. L'ascolto è propedeutico alla comprensione della realtà rappresentata dal coachee, della quale solo lui è a conoscenza e ne è l'esperto. Ascolto e Domanda sono i principali se non unici strumenti a disposizione del coach.
L'Accoglienza è una predisposizione del coach. Il coach accoglie nel vero senso della parola il coachee. Lascia a a lui/lei il palcoscenico del racconto e lo accoglie in quanto individuo unico, originale e irripetibile. Accogliere significa non pregiudicare e non giudicare in base a personali esperienze o stereotipi.
L'Alleanza, quindi, si forma dopo e solamente dopo che i precedenti 2 tratti si sono manifestati.
Solo nel momento in cui il/la coachee si sente accolto, non giudicato, ascoltato nel suo racconto senza pregiudizi e senza presunzioni di aver già capito, solo allora si creerà l'Alleanza tra coach e coachee.
Solo l'Alleanza sancisce la Relazione di Coaching.
Questo rappresenta un momento fondante in quanto significa che il coachee ha scelto il coach!
Ecco la differenza direi unica e rivoluzionaria del Coaching Umanistico; il coachee sceglie il coach. Senza Alleanza non c'è relazione, senza relazione non c'è coaching.

martedì 7 febbraio 2012

IL COACHING

Desidero fare un pò di chiarezza riguardo il Coaching.
Recentemente il coaching è balzato agli onori della cronaca sia per i risultati che bravi e professionali coach consentono di raggiungere ai loro coachee, sia per l'uso un pò troppo sui generis che si sta facendo della parola stessa "coaching" e conseguentemente della professione.
Innanzitutto cosa significa "Coaching"? 
Tradotto letteralmente abbiamo: allenatore, insegnante, pullman; già questo dà un'idea di cosa essenzialmente un coach faccia. 
Andiamo per gradi. 
La figura del coach nasce nelle università americane dove si richiedeva una figura che sapesse indirizzare le prestazione degli atleti delle stesse verso livelli di eccellenza. Il coach era allora una specie di factotum. Conoscitore di discipline sportive, metodiche di allenamento, pratiche alimentari, strategie motivazionali, si impose brevemente all'attenzione per i risultati ottenuti. La figura si sviluppò quindi proprio negli USA e in Inghilterra e iniziò un processo di specializzazione che, oltre al tradizionale campo sportivo, si evidenziò all'interno del mondo aziendale.
Soprattutto in questo contesto, ormai anche in Francia, il coaching iniziò il suo cammino staccandosi definitivamente dallo sport, dove si specializzò la figura del coach sportivo che tutti conosciamo.
Nel modo aziendale era una pratica riservata ai manager più esperti e lungimiranti che intuivano l'enorme potenziale relazionale di questa metodica.
Successivamente, anche da noi in Italia,il coaching venne proposto proprio da quei manager che lo avevano utilizzato nelle aziende e rimase quindi confinato ad una pratica riservata a pochi eletti che abilmente sfruttavano commercialmente più la loro esperienza che specifiche abilità professionali.
Si deve all'evoluzione di tecniche e metodi sperimentati in diversi studi che il coaching nascesse come displina applicata e metodica d'intervento.
Nascono le scuole e le prime serie figure di coach e si rende necessaria una netta chiarificazione.
Il Coaching non ha niente a che vedere con la PNL. 
Oggi viviamo una confusione dovuta a diverse discipline meritevoli ognuna di specifica considerazione e approfondimento. Mentoring, Tutoring, Counseling, ecc. sono tutte valide alternative con specifici presupposti e campi d'intervento. 
Nel coaching stanno però confluendo una miriade di reflui della PNL che, non trovando sbocchi professionali nella specifica area si "riciclano" come coach.
Questo genera confusione ed equivoci.
Soprattutto diverse scuole spacciano Corsi di coaching quando altro non fanno che praticare e insegnare la PNL.
Il Coaching e soprattutto il Coaching Umanistico, da me scelto e praticato, si basa su specifici e inderogabili presupposti.
Il coaching è un metodo di di sviluppo e formazione che consente al coachee(cliente) di acquisire consapevolezza della sua situazione; attraverso la relazione di coaching il coachee prende coscienza delle sue potenzialità, le allena, le valorizza ed esprime obiettivi personali sfidanti e gratificanti per i quali elabora proprie strategie di azione.
Il coahing umanistico si basa, tra gli altri, dei seguenti punti fondanti:
  • Il focus della conversazione di coaching è sempre il cliente e mai il problema
  • Il coachee è l'unico esperto della situazione reale
  • La relazione di coaching si basa sulla regola delle 3 A: ascolto, accoglienza, alleanza.
  • Il coach non guida, non suggerisce, non aiuta, non dà consigli, non manipola, non cerca di tirare il cliente a sè...perchè non conosce la realtà del cliente.
  • Il coach ha solo uno strumento, oltre la sua abilità e un metodo provato e funzionante: la domanda.
E' con questo solo strumento che il coach consente al coachee di lavorare sulle sue potenzialità ed elaborare strategie orientate al futuro che lo indirizzino verso obiettivi sentiti anzichè restare intrappolato nel problema che vive.
Ritengo già questo sia sufficiente a comprendere l'ampio potenziale d'intervento del coaching e come e perchè sempre più persone, individualmente e nei loro contesti professionali; e sempre più aziende, si rivolgano alla figura del coach.


mercoledì 1 febbraio 2012

ORA O MAI PIU'

Ascolto con attenzione i miei coachee.
Che siano individui,manager,imprenditori o altro, li ascolto tutti con estrema attenzione. Ascoltare è fondamentale nella mia professione. Soprattutto perchè è propedeutico all'instaurarsi di una relazione tra me ed il coachee. Una relazione dove il cliente è l'esperto, sempre! Io ascolto per conoscere la sua realtà, che mi racconta dal suo angolo visuale.
Una cosa accomuna però molti dei miei coachee. Tra le pieghe dei loro racconti, negli angoli delle loro vite e professioni, c'è forte un sentimento di acquiescenza. Si percepisce questa accettazione della mediocrità. Mi spiego.
Tutti hanno desideri,obiettivi,elaborano piani e strategie per raggiungere il cambiamento desiderato. Ma con molta rassegnazione e quasi accettazione dell'impossibilità a riuscirci.
Io mi chiedo: perchè accettare la mediocrità? perchè decidere di restare mediocri?
Viviamo un'epoca di grandi risorse e possibilità, tecnologiche, scientifiche, comunicative.
Ma soprattutto viviamo un'epoca dove le decisioni veramente possono fare la differenza.....ovviamente le nostre decisioni.
Ci lamentiamo della crisi, del lavoro che manca, della compagna/o che non ci ascolta, degli amici che non ci capiscono, del capo che non ci stima, del vicino che "ruba"...ma noi, in tutto questo che ruolo abbiamo?
Ecco la domanda esplosiva: noi che ruolo abbiamo nella nostra vita? Protagonisti o comprimari?
Eccellenza o Mediocrità?
E' giunto il momento di decidere. Decidere chi vogliamo essere prima di cosa fare.
Attori o Comprimari? Siamo tra coloro che godono di ogni momento,bello o brutto; tra coloro che decidono per migliorare, per cambiare e non per sopravvivere; che imparano dai propri feedback e ascoltano attentamente quelli degli altri. Siamo tra coloro consapevoli dei propri limiti ma soprattutto che solo decisini e azioni portano in avanti, portano a migliorarsi, a sperimentare, a cambiare, ad eccellere.
Eh già, eccellere.
Oppure siamo tra i comprimari. Siamo tra coloro che aspettano il passo avanti altrui per valutare e semmai imitare. Coloro che diffidano del nuovo, impauriti dai feedback altrui e mai ascoltano i propri. Coloro che amano lamentarsi, puntare il dito, criticare, imprecare, aspettare. Coloro che vedono solo buio e crisi e mai speranza e opportunità.
Coloro che sguazzano nella mediocrità.
Basta lamentarsi. Le lamentele non portano a nulla, anzi acuiscono dolori e rimpianti. Le lamentele offuscano la mente, ci impantano nella staticità Decidere quale opportunità cogliere innazitutto. Si, poichè oggi, alla faccia della grande crisi quest'epoca trabocca di opportunità.
Possiamo essere chiunque vogliamo e raggiungere qualunque traguardo desideriamo.
Ma tocca a noi. Inevitabilmente, inesorabilmente.
Il tempo ci chiama, il nostro percorso ci attende, il futuro è lì...in avanti, poichè questo tempo,il nostro tempo, non tornerà. Mai più.
Attori o comprimari.
Eccellenze o mediocri.
Ora o mai più.